Benché il codice penale del regno borbonico non giudicasse reato l’amore tra uomini, il Settembrini volle sempre fugare ogni sospetto sui suoi interessi sessuali che gli potesse procurare l'attribuzione di paternità del romanzo "I Neoplatonici". Anche alla moglie nascose la verità, affermando che il romanzo che le aveva spedito, non era altro che una traduzione di un autore greco. Lo stratagemma della traduzione di uno scrittore greco è risultato efficace e ha retto per oltre cento anni. D’altra parte, Settembrini era un cospiratore professionista, capace di sfuggire ai controlli della polizia borbonica. In carcere inventava codici per comunicare tra i detenuti e con i parenti, aggirando ogni controllo carcerario. Negli anni del carcere e della cospirazione il Settembrini aveva imparato, a sue spese (fu più volte tradito dai suoi amici), che non doveva fidarsi di nessuno. Non si dichiarò mai l’autore del romanzo "I Neoplatonici" quando era suddito del regno borbonico, né quando divenne suddito del Re Galantuomo, Vittorio Emanuele II, il cui codice penale condannava l'amore tra gli uomini.