“In verità, noi sappiamo tutto del nostro 'male' ma lo amiamo e, se non c'è. lo andiamo a cercare.
Leggendo queste storie (reali, surreali, ironiche o drammatiche) v'accorgerete che, oltre le sigle, in fondo a ogni articolo, c'è di più: ci sfamo noi. Della stampa siamo le 'bellezze' che non mollano. Né ieri, né oggi e (forse) neanche domani". “E ne ne vale la pena?”. “Ma almeno ti pagano?”. “Sì, ma il tuo vero lavoro qual è?”. Queste domande - e tante altre - hanno affollato e affollano la lunga e difficile strada professionale del giornalista. È così da sempre, e lo è ancor di più dopo la rivoluzione digitale.
È così per tutti, e lo è ancor di più se si è donne. Diciassette giornaliste in diciassette racconti narrano momenti di vita e di carriera vissuta: gli inizi, gli ostacoli, i compromessi, le rinunce, ma anche le vittorie, la passione, gli amori, quel certo “non so che” che le obbliga ancora oggi, a distanza di anni, a non staccare l’orecchio dal telefono e le mani dalla tastiera. Perché il giornalismo, quello vero, era ed è una brutta malattia, una dipendenza difficile da curare, perché nel bene e nel male, facendo il verso al grande Humphrey Bogart, possiamo ancora affermare: “È la stampa, bellezze! E voi non potete farci niente! Niente!”.