A dare sapore a questo “zuco ‘e ll’anema” è, senza dubbio, la scelta dialettale, non certo semplice, in questo villaggio globale, dove è di moda essere parte di un gruppo dominante, che scrive in un italiano spesso così franto e nervoso da assomigliare all’inglese. Costruita come un’autobiografia poetica, cui sfuggono precise notazioni spazio-temporali, perché la poesia deve emozionare e non informare, Zuco ‘e ll’anema racconta una storia d’amore per la vita, che talvolta assume nomi femminili, come Silvana, Anna, Giusi, talvolta è affidata a volti senza nome come quello “murtificato” delladonna che lava ‘o ‘’zuco ‘e ll’anema” dal “moccaturo” che un improvvido bucato ha spogliato di vita, restituendolo al suo ruolo di oggetto o il volto della ragazza conosciuta all’università con “sti dduie uocchie belle: / gruosse” che “fanno ’ncantà” ed una pelle che è “nu mare ’e luce”.