Oltre quarantamila furono gli italiani che, sopravvissuti ai massacri e non cedendo alle intimazioni di resa da parte dei tedeschi dopo l’8 settembre, si unirono ai partigiani jugoslavi, combattendo in Montenegro e in tutte le altre regioni del paese, dando prova di valore e conquistandosi la fiducia, l’affetto dei compagni d’arme e delle popolazioni locali. Ventimila di essi caddero, riscattando con il sangue – non è retorica il dirlo – le infamie dell’aggressione e della repressione fascista.
Scotti, sulla base di documentazione, frutto di una lunga ricerca svolta negli archivi jugoslavi e italiani, può affermare che già prima dell'8 settembre più di mille italiani disertarono dalle file dell'esercito di occupazione in Jugoslavia e passarono volontariamente nelle file della Resistenza jugoslava unendosi all’armata dei partigiani di Tito, o si “macchiarono” di altre forme di disobbedienza, di “obiezione di coscienza”, di scarsa partecipazione alle operazioni antiguerriglia, di dissociazione dalle truci azioni repressive. Furono essi, in ordine di tempo, i primi partigiani italiani, espressione del legame che si sarebbe sviluppato poi tra le due resistenze e l'altra faccia di quella stessa lotta combattuta con estrema brutalità dai fascisti italiani.
Infine, come momento politico e organizzativo che saprà opporre queste due facce antitetiche in modo da farne scaturire un confronto risolutore, l’opera svolta dai due partiti comunisti: quello jugoslavo già forza “di governo” e salda guida della lotta popolare; e quello italiano, fratello minore che gli crescerà accanto in modo diverso, fra contrasti difficilmente sanabili.