Da oltre quarant’anni economia ed ecologia cercano soluzioni condivise per consentire un’ulteriore crescita economica locale e mondiale che preservi il contenitore nel quale l’uomo e gli esseri viventi sono inseriti.
I concetti classici dell’economia devono quindi essere adattati per tener conto di costi e benefici sociali che esulano dai principi classici di Adam Smith, accogliendo idee e suggerimenti di Pigou, Coase, Pearce o Tietenberg.
Paesi ricchi e poveri si trovano spesso su sponde opposte di giudizio sulle soluzioni possibili perché gli uni vogliono difendere il benessere acquisito che in larga parte si è giovato dei sacrifici dagli altri, i quali ora vogliono giustamente capitalizzare la loro astinenza in forma di crescita e sviluppo.
In Italia, la produzione affannosa di norme e regolamenti emanati in circa trent’anni per tamponare gli errori e le incertezze passati in materia ambientale aveva creato confusione e perplessità che di fatto bloccavano aziende e istituzioni che fornivano interpretazioni legislative favorevoli e contrarie, diffondendo solo dubbi o comportamenti a rischio.
Un’opportuna legge (la 152/2006) definita “il codice dell’ambiente” ha cercato di mettere ordine per ciò che riguarda la tutela delle acque, la gestione dei rifiuti e l’inquinamento dell’aria predisponendo un testo unico che, al di là di carenze su cui intervenire, pone un punto alla situazione allineandosi alla normativa europea.